Si ipotizza per il paese una possibile fondazione sannita. Per gli scarsi ritrovamenti archeologici si è ipotizzata una prima presenza umana sul territorio nel Paleolitico; tra i gruppi etnici che si sono susseguiti in quest’area i più noti furono gli Japigi, gli Umbro- Sabelli, gli Enotri, gli Osci ed infine gli Irpini, questi ultimi di origine sannita. La prima documentazione disponibile relativa a Savignano risalirebbe al 702 o al 902 (per altri al 988). In essa viene riportata la denominazione di castrum Sabiniani a proposito di una donazione del villaggio fatta dai principi beneventani Pandolfo III e Landolfo VI a Pondone, conte longobardo di Greci. La storia di Savignano è strettamente legata a quella del territorio di Ferrara. Nell’ XI sec. la baronia, compresa Savignano, fu sottoposta al dominio normanno dei discendenti degli Altavilla e, in particolare, in quel periodo risultò essere signore della baronia Gerardo, fratello di Giordano conte di Ariano. Grazie a Gerardo il borgo beneficiò della realizzazione di una notevole opera di fortificazione. Altro personaggio che incise sulla storia del luogo fu Savignano Dauferio, figlio di Gerardo, artefice di una cospicua donazione al monastero di Santa Maria di Porta Somma in Benevento la cui badessa era la sorella Betlemme. Tale donazione riguardò alcuni beni compresi nel territorio di Savignano Irpino e cioè il casale di Sant’Angelo de Ingenus, le chiese di Santa Barbara e di Santa Giuliana, il feudo di Santa Croce. Nel 1140 la contea di Ariano venne divisa ed il conte di Savignano, nonostante avesse perso il titolo, riuscì a mantenere il possesso del feudo ed alcune cariche nell’amministrazione. A quel tempo Savignano, com’è riportato nel Catalogo dei Baroni, era un feudo di un solo “milites”.
Nel 1193 Savignano risulta sotto il governo di Saralo Guarna, finché quest’ultimo venne giustiziato reo di essersi ribellato a Tancredi d’Altavilla e di aver parteggiato a favore di Enrico VI. Il feudo passò allora a Giacomo Guarna. Un antico manoscritto di Carlo Aristide Geranio Rossi, rende noto il lascito che gli Svevi fecero ai discendenti di Saralo; inoltre, da alcuni documenti del XII sec. risulta che in pieno Medioevo la tenuta di Savignano si componeva di due paesi, il casale ed una frazione limitrofa. Passato sotto il dominio degli Svevi, Savignano compare in un documento indirizzato al Giustiziere del Principato, tra le “Universitas” che contribuirono alle spese per la riparazione del castello di Sant’Agata di Puglia, secondo le disposizioni date dall’imperatore Federico II di Svevia nel periodo tra il 1239 e il 1243. Nel 1229 Manfredi Maletta, parente di re Manfredi, acquistò Savignano che fu sottratta con altre proprietà da Carlo d’Angiò. Dopo la conquista angioina nel 1266 Savignano cambiò, come di consuetudine, feudatario; difatti, nel 1274 Carlo I d’Angiò concesse nel 1274 l’intera baronia a Guglielmo de la Lande. Il passaggio di domino fu particolarmente traumatico per Savignano, abitata all’epoca da spagnoli catalani, con devastazioni tali da provocare l’abbandono dei feudi.
Per tale motivo nel 1275, per volere dello stesso sovrano, Savignano fu privilegiata con la dispensa dal pagamento del contributo obbligatorio per il mantenimento dell’esercito angioino nell’ambito delle azioni belliche nei confronti di Lucera, difesa dai Saraceni di re Manfredi di Svevia. Nel 1299 Manfredi Maletta fu reintegrato, per intercessione di papa Bonifacio VIII, dei suoi beni. Tuttavia tra questi non fu incluso Savignano, che rimase alla famiglia de la Lande. Con il matrimonio tra Bertranda, figlia di Guglielmo de la Lande con Novello Dolfi Spinelli, la baronia passò a questa famiglia cui rimase fino al gennaio 1445. Il successivo signore fu difatti il frutto di questo matrimonio, Galasso Spinelli. Il territorio dimostrò negli anni una certa tendenza all’eresia cosicché fu significativo in quel periodo la stabilizzazione di alcuni rappresentanti ecclesiastici con residenza a Savignano Irpino. Secondo un manoscritto del 1413 il feudo fu venduto agli Spinelli, Berardino e Francesco. Durante il loro governo pare sia stato prigioniero nel castello di Savignano, ad opera di Jacopo della Marca, promesso sposo della vedova Giovanna I d’Angiò, Francesco Sforza, futuro duca di Milano. Sembra inoltre che lo stesso Sforza fosse riuscito ad evadere ed a riottenere nel 1416 il feudo di Savignano, per volere della neo regina Giovanna II .
Con la conquista del Regno da parte di Alfonso I d’Aragona, dopo la scomparsa della regnante angioina, nel 1442 esso passò nuovamente agli Spinelli. Nell’archivio Sanseverino è custodito un documento, contenente un ricorso contro il malgoverno ed i soprusi dei fratelli Spinelli nei confronti del popolo savignanese. In seguito fu tra i possedimenti dello spagnolo Innico de Guevara, fedelissimo della dinastia aragonese, Gran Siniscalco, marchese del Vasto e conte di Ariano, Potenza e Apice. Il successore di Innico per quanto riguarda i feudi di Savignano, Greci e Buonalbergo fu Giovanni Guevara dimostratosi fedelissimo nei confronti del re Ferdinando d’Aragona tanto che riuscì a mantenere i suoi possedimenti anche dopo la Congiura dei Baroni quando a causa del comportamento di Pietro de Guevara, questa famiglia perse diverse proprietà. Nel 1527 i Guevara acquistarono il feudo di Panni. Nel 1563 Guevaro de Guevara acquistò il ducato di Bovino di cui nel 1575 Giovanni II di Guevara ricevette il titolo di duca. In epoca rinascimentale il castello subì delle trasformazioni che lo mutarono in palazzo gentilizio. Il XVII sec. fu molto buio, il luogo fu angustiato da diverse calamità tra guerre, carestie e pestilenze che ne decimarono la popolazione. Nello stesso secolo è nota la presenza di frati francescani cappuccini che abitavano il convento di S. Rocco , convento che fu probabilmente soppresso ad opera della bolla Instaurandae emanata il 15 ottobre 1652 da papa Innocenzo X che decretò la chiusura di tutti i conventi che non erano in grado di provvedere autonomamente al mantenimento dei religiosi. Con un rescritto del 29 maggio 1700, dato a Madrid, si concede ai Guevara il titolo di conti di Savignano. Il primo di essi fu Carlo Antonio II de Guevara, figlio di Giovanni IV de Guevara, duca di Bovino.
Nel 1727 papa Benedetto XIII fece realizzare a sue spese l’intero complesso dell'”Hospitius pro peregrinis” noto anche come palazzo Orsini dal nome della famiglia del pontefice ed attuale casa comunale. Esso sorse per far front all'esigenza di accoglienza di malati e pellegrini. Durante i moti della Repubblica napoletana Savignano pagò il suo contributo in vite umane ed in particolare del sindaco Domenico Albani che fu ucciso nella piazza del paese il 17 febbraio 1799. Nel 1801 il paese, appartenente in precedenza al Principato Ultra, diventò di pertinenza della zona nella parte settentrionale della Puglia denominata Capitanata e corrispondente pressappoco all’attuale provincia di Foggia. Tra il 1862 ed il 1865 il territorio di Savignano fu invaso da bande di briganti, guidate da Celenza Valfortore, Giuseppe Furia e Gaetano Meomartino, i quali agirono indisturbati nella zona tra Bovino e la stessa Savignano. Dopo l’Unità d’Italia e fino al 1880 l’area savignanese fu interessata da un vasto fenomeno di brigantaggio che era stato presente per tutto il XIX sec., con l’invasione da parte di numerose bande che agirono indisturbati nella zona. Esso fu favorito dalle enormi estensioni di bosco presenti cosicché la zona tra Savignano e il ponte di Bovino, tra la Ferrara e Buonalbergo fu ideale per appostamenti ed assalti. A seguito di ciò si registrò una mobilitazione delle gendarmerie di Ariano, Greci e Casalbore continuamente impegnate in operazioni di perlustrazioni e snidamenti. Anche i moti rivoluzionari del 1820 ebbero la loro eco a Savignano così come accadde per i moti del 1848 che vi si manifestarono con la formazione dei “comitati repubblicani carbonari o costituzionali”, collegati a quelli di Ariano e dipendenti da Foggia.
Anche qui come altrove si registrò il notevole appoggio da parte di rappresentanti del mondo religioso giacché i cospiratori di Savignano trovarono rifugio ed ospitalità in casa del sacerdote don Rocco Mottola. Tra gli afferenti al movimento comparve un altro sacerdote, don Pietro, appartenente alla famiglia Magone che si distinse particolarmente in quell’occasione anche per il contributo di Nicola, Crescenzo e soprattutto Giuseppe considerato dalla polizia borbonica il “capo direttore”. Un’azione particolarmente forte fu, nel 1848, l’occupazione delle terre del duca di Bovino da parte della popolazione che le riteneva comunali ed arbitrariamente possedute dal feudatario. Tra gli arrestati della successiva repressione si registrò anche don Pietro Magone che fu trasportato a Nisida ove morì. Dopo l’Unità d’Italia nel 1861 il Comune fu aggregato alla nuova provincia di Avellino. Esso fu conosciuto con il nome di Savignano fino al 1862 quando acquisì, singolarmente visto l’avvenuto cambio di pertinenza provinciale, la specificazione “di Puglia” che servì a differenziarlo dagli omonimi Savignano di Romagna e Savignano sul Panaro.
Il Castello, denominato “Castrum Sabinarium” dando quindi nome al paese, nacque tra il VII e l’VIII secolo probabilmente come fortezza difensiva, per essere poi trasformato, agli inizi del 1700, in palazzo signorile dai nobili Guevara. La struttura del castello che si ammira oggi solo in parte riflette l’originario impianto, tra cui le alte e spesse mura in pietra.
Sorto originariamente come struttura difensiva, sotto i Guevara, di cui l’immagine mostra lo stemma, subì un mutamento nella destinazione d’uso, dato che fu trasformato in residenza (1527), anzi, in edificio a destinazione mista, essendo usato come centro di amministrazione e deposito di granaglie e derrate varie (ciò continuerà anche in epoca successiva, come si rileva dalle denunzie catastali del 1753 e del 1808). Il terremoto del 1732 danneggiò la struttura, che non subì ulteriori modifiche fino al 1880, essendo ancora abitato fino alla fine di tale secolo.
Successivamente, l’asportazione di materiale vario e la demolizione di parti ritenute pericolanti, oltre che rimaneggiare fortemente la struttura, ne misero seriamente in pericolo la staticità, ulteriormente compromessa dal grave sisma del 1980. L’amministrazione comunale decise, perciò, di acquistare la struttura dalla famiglia Daniela Casale e di procedere al suo restauro, sulla base di un progetto che prevedeva, da un lato, il recupero delle parti rimaste del castello, dall’altro la creazione di un teatro all’aperto.
La Chiesa Madre di S. Nicola e S. Anna è situata nel centro storico, in prossimità delle mura del castello, da cui sicuramente era inglobata in epoca passata, come confermerebbe lo stemma di Savignano situato sul fronte centrale, risalente al 1581. Il portale centrale è sormontato da un rosone (come gli altri due portali minori). Sulla sovrastante lunetta insiste una maiolica raffigurante S. Anna, protettrice di Savignano Irpino. L’istituzione della Parrocchia risalirebbe all’8 settembre 1588, stando alle risultanze degli atti battesimali,tuttavia, è lecito supporre che, anche se in forma ridotta rispetto all’attuale, la struttura fosse preesistente. La facciata è in stile tardo-romanico e venne realizzata da scalpellini locali utilizzando pietra viva locale, proveniente dalla “Targiana”, una località tra Savignano e Monteleone. L’interno è a tre navate a croce latina. L’altare maggiore, sopraelevato rispetto al livello della chiesa, venne realizzato con preziosi marmi; le colonne che sostengono gli archi delle navate vennero realizzate in pietra viva. Gli eventi hanno inciso sull’impianto originario, dato che prima del terremoto del 1938, c’era una cripta in cui venivano seppelliti i defunti, e che dopo il suo crollo non è stata più riedificata, come pure la volta della chiesa era rotonda, mentre oggi è diritta. Una sorta di cappella a sè stante è il Battistero del 1514, sulla destra del portale principale, ritenuto parte della cappella del castello normanno. Tale Battistero è sovrastato da un bel portale in pietra. Tra le altre opere d’arte presenti nella chiesa si ricordano degli affreschi relativi al matrimonio tra S. Maria Vergine e e S.Giuseppe e la statua di S. Anna del XVIII secolo.
A Savignano Irpino si trovano diversi altri edifici religiosi, chiese, cappelle e semplici edicole. Tra le chiese ricordiamo quella di S. Francesco e la Chiesa della Madonna del Carmine, che si trova lungo il Corso Vittorio Emanuele II. Infine, la Chiesa della Madonna delle Grazie risalente al XVII sec., oggi chiusa al culto e quasi interamente ricostruita nella seconda metà del XX secolo, prima di subire l’ultimo importante intervento di restauro nel 1911.