La terra abitata di S. Giacomo era posseduta, in origine, dai Cavalieri Templari, ordine fondato nel XII secolo al tempo delle crociate. Si trattava di un casale che si trovava sul colle oggi chiamato Contrade delle Piane nelle vicinanze del tratturo l’Aquila-Foggia. Nel 1294, anno di un forte terremoto, la piccola comunità sangiacomese, insieme con una estesa tenuta terriera passò all’ordine dei Gerosolimitani: Cavalieri di S. Giovanni. Qualche anno più tardi la comunità fu assegnata all’Università di Termoli. Quindi alla Mensa Vescovile. Gli abitanti del piccolo casale erano un popolo pacifico dedito alla coltivazione dei campi, all’allevamento del bestiame e alla pastorizia. Nel 1404 Termoli con il casale di San Giacomo, viene acquistato da Francesco De Riccardis, Maresciallo del Regno di Napoli, e rimane feudo dei De Riccardis fino al 1436. Il 5 dicembre 1456, alle ore 21 un tremendo terremoto del 10 grado con epicentro nella zona di Benevento, distrusse centinaia di piccoli e grandi paesi: dall’Aquila fino a Melfi di Potenza. Nel Molise 32 castelli andarono in rovina; a Termoli cadde la Torre campanaria e la parte superiore della Cattedrale. Morirono circa 40.000 persone quando l’Italia dell’epoca ne contava ca. 8 milioni. Solo a Larino ci furono 1313 morti. Nella cronaca di Sant’Antonino di Firenze si legge: “il terremoto che si verificò in alcune parti del Regno e particolarmente nella Puglia, l’anno del Signore 1456, il giorno 5 dicembre alle ore 21, e che si ripetè il 30 dello stesso mese alle ore 16, fu un terremoto che non si ricorda a memoria d’uomo, e che mai si legge fosse di tale veemenza e che abbia provocato tanta mortalità di uomini”. Anche le povere abitazioni di S.Giacomo con la chiesetta di S. Pietro che si estendevano sul Colle delle Piane furono completamente distrutte.
Si narra che solo poche famiglie si salvarono. Queste, trovandosi completamente sul lastrico, chiesero aiuto al Vescovo di Termoli: Duccio, a quel tempo anche Barone di S. Giacomo nonché feudatario di tantissimi terreni dell’agro sangiacomese. Il vescovo possedeva oltre a tanti terreni anche il Palazzo Baronale. Alcune famiglie furono alloggiate nel Palazzo Baronale, altre scavarono delle grotte nelle vicinanze del Palazzo e lì vissero per alcuni anni. Vescovo dopo aver concesso asilo alle famiglie sopravvissute al tremendo e devastante terremoto permise loro anche di abitare nel suo feudo, di coltivare terreni ed allevare animali. Nelle vicinanze del Palazzo Baronale c’era anche un’antica chiesa corrispondente a quella attuale costruita sulle rovine di un’altra preesistente e nella quale si recavano i coloni che coltivavano i terreni del feudo della Mensa Vescovile. Quando ai sopravvissuti del terremoto si aggiunsero anche gli immigrati provenienti dalla Schiavonia, oggi Slavonia, che fuggivano dalle loro terre devastate dagli eserciti turchi, iniziarono le costruzioni delle prime case della nuova S. Giacomo. Da quella data in poi, siamo intorno al 1500, le grotte furono utilizzate solo come ricovero per gli animali.
Il villaggio cominciò così pian piano a crescere intorno alla chiesa e al palazzo baronale. Per impedire le razzie dei briganti
replique breitling e degli eserciti turchi, che in quel tempo assalivano e depredavano i casolari, (sbarco dei turchi a Termoli al comando di Pialì Pascia il 2 agosto del 1566) furono costruite intorno al villaggio, che si andava costituendo, quattro porte: Porta di Vico del Tempio, Porta di Via Roma, Porta di Via Frentana e Porta dell’Orologio; era quasi una fortezza ma difficile da difendere! Fu così che gli abitanti sentirono la necessità di costruire anche una via di fuga attraverso un cunicolo che, partendo dalla chiesa, usciva alla quinta grotta. Si pensa che le grotte all’inizio erano sette, tante quanto era il numero dei “focolari”: le famiglie sopravvissute al terremoto.
In realtà si ha riscontro di solo cinque grotte di cui quattro adibite a dimora per le famiglie scampate al terremoto del 1456 e una quinta, la più lunga, costruita circa 100 anni dopo come via di fuga tra il paese e le campagne. Nel 1549, sotto il dominio spagnolo, tutte le terre del
orologi replica regno abitate da albanesi o dalmati furono condannate, per ordine del Viceré, ad essere bruciate e distrutte per la continua facinorosità di queste popolazioni. Nella sola provincia del Molise, di trentasette “ terre “, ventinove furono destinate al fuoco e tra queste anche : Santo Jacopo de Sclavoni (dell’Episcopo di Termole).
Così il Vescovo Tommaso Giannelli nel suo libro “ Memorie “ scritto durante la sua reggenza della Diocesi di Termoli tra il 1753 ed il 1768 racconta dei rapporti tra il Vescovo suo predecessore Vincenzo Durante di Brescia che resse la diocesi di Termoli dal 1539 al 1565 con San Giacomo: “Nel governo di costui ( 1539-1565 ) vennero dalla Dalmazia Uomini e donne, alli quali per difetto di Coloni, diede il Vescovo ricovero nella sua Tenuta di S. Giacomo. Ed avendo manifestato il loro animo di volervi fissare il domicilio, nell'anno 1564 si stipulò convenzione, colla quale dichiarò il Vescovo quello, che intendeva fargli godere, ed essi loro si obbligarono corrispondere le rate de frutti, e prestare particolare servizio, come si scriverà nel notare lo stato presente del Feudo di S. Giacomo”.
La fonte: i sangiacomesi, una volta stabilitisi sul pianoro sovrastante le grotte su cui si trovava il Palazzo Baronale, sentirono la necessità di disporre dell’acqua. Fu così che dapprima costruirono un pozzo:
“u puzz cavalle” ancora oggi esistente. Poi, siccome si rivelò insufficiente ottennero dal Vescovo: Fra Isidoro Pitiella l’autorizzazione a costruire una fonte a circa un chilometro dall’abitato (anno 1751). E’ questa una costruzione di stile romanico con quattro arcate al centro delle quali su una pietra arenaria vi è inciso: I.M.I. – Iesus Maria Iosef ; S.G. San Giacomo; 1751.
La fonte divenne subito il luogo di aggregazione del vita paesana: ad essa si recavano le donne non solo per attingere l’acqua per i fabbisogni domestici ma anche per lavare la loro biancheria. Qui si incontravano e, mentre effettuavano il bucato, cantavano allegramente cantilene dialettali.
Al termine del lavoro tornavano in paese ognuna con il suo bucato nella cesta di vimini trasportata in testa sulla quale un rotolo di panno: “ a spere “, facendo da cuscinetto, attenuava il peso che la testa doveva sostenere.
Ah quante storie d’amore ed innamoramenti avvenivano sotto quei quattro archi mentre l’acqua fresca di sorgente zampillava nelle vasche! Alla fonte si portavano a dissetare anche gli animali dopo una lunga giornata trascorsa nei campi ad aiutare i contadini. Era una festa quando, dopo una giornata di duro lavoro i sangiacomesi ed i loro animali si recavano alla fonte per attingere l’acqua e per abbeverare i loro muli o i loro asini! Nella strada che portava alla fonte era un continuo via vai di persone ed animali: chi scendeva e chi saliva. Diventarono così tanti che la strada si rilevò insufficiente per il transito degli animali per cui si sentì il bisogno di allargarla.
Fu costruita così una mulattiera con i lastroni di pietra locale: i cosiddetti “scaloni“. Oggi gli scaloni sono stati sommersi dall’asfalto, i muli e gli asini hanno fatto posto a trattori e mezzi meccanici ma la tenacità e la laboriosità della gente di S. Giacomo che è rimasta a lavorare i campi è la stessa che i nostri antenati avevano quando a piedi calpestavano gli "scaloni".